IL TEMPIO ITALICO DI MINERVA/ATENA


La costruzione del tempio attribuito al culto di Minerva-Atena Ilias (molto diffuso in Daunia come a Roma, viste le comuni origini troiane dei due popoli) con le sue componenti medioitaliche (planimetria e podio) e magnogreche (ordini architettonici ionico e corinzio), è da considerarsi una manifestazione celebrativa e propagandistica dell’allenza romano-canosina (deditio del 318 a.C.). Si tratta di uno dei più grandiosi edifici di tipo italico dell’Italia meridionale ellenistica. Il suo podio infatti misurava 33x45 m. ed era alto 1,67 m. Secondo gli studiosi e le ipotesi più accreditate il tempio a cella aveva ampie ali laterali, pronao a doppio colonnato di tipo ottastilo, ovvero costituito da una doppia fila di otto colonne. Notevoli le sue componenti magnogreche superstiti in gran parte esposte nell’Antiquarium: basi e rocchi di colonne scanalate, enormi capitelli ionici del pronao, semicapiltelli corinzieggianti figurati (raffiguranti divinità greco-romane) pertinenti la decorazione interna della cella o delle ali, frammenti (piedi, addome e testa) di un telamone di tipo satiresco. Della trabeazione sono stati ritrovati alcuni elementi appartenenti ad un fregio dorico, al geison frontonale e ad una sima con gocciolatoio a protome leonina, altri frammenti di cornici minori, resti di modanature in stucco probabilmente appartenenti alle cornici. Al fregio dorico appartengono tre triglifi ed una metopa a forma di corazza.

La frequentazione dell’area è attestata anche nel periodo repubblicano e in età imperiale. Dopo il suo abbandono in età tardoantica il tempio viene abbattuto e i materiali vengono reimpiegati nella costruzione in loco, tra V e VI sec. d.C., di una basilica paleocristiana che riutilizza il podio come fondazione.

IL TEMPIO DI GIOVE TORO I SEC. D.C.


"E pria di tutto incontrai, nel mezzo di un campo arato, un quadrato edifizio laterizio chiamato oggi il Toro, che di poco s’innalza dal suolo; ma entrandovi trovai stanze commode di cui si avvalgono gli agricoltori per uso di stalle. Opinasi essere stato un tempio; ma la divisione delle sue stanze e la sua forma esteriore additan più tosto una casa o pure un carcere". Così Emanuele Mola nel 1796 descrive i ruderi del monumento noto successivamente come il Tempio di Giove Toro. Un’attribuzione già avanzata dallo Jacobone nel 1925, preferendola a quella che vedeva in quei ruderi un edificio funerario, anche perché nell’area era stata rinvenuta nel 1902 una statua di Giove, oggi al Museo di Taranto. Bisognerà attendere la campagna di scavi archeologici avviata nel 1978 nell’ex proprietà Petroni, condotta dall’Università di Bari per conto della Soprintendenza Archeologica della Puglia, per portare al definitivo riconoscimento della planimetria del tempio.

Il TEMPIO DI ETÀ IMPERIALE

Si tratta di un imponente tempio periptero, con dieci colonne sui lati lunghi e sei sulla fronte e sul retro, al quale si accedeva attraverso un ampia scalinata. L’edificio era compreso in un grande spazio porticato cui si accedeva probabilmente da un propileo. Il tempio misura attualmente in lunghezza 27,77 m.; 16,54 m. in larghezza e 3,39 m. in altezza. Il podio, in opera laterizia poggiava su una piattaforma di quasi 5 m. costruita in tufelli e filari di laterizi, presenta le tracce dell’impostazione dei muri della cella, nonché di tombe a fossa che invasero l’area quando il tempio cessò la sua funzione. L’edificazione del tempio è attribuibile all’opera di munificenza del senatore Erode Attico al tempo della deduzione a colonia del municipio canosino nel 141-142 d.C., sotto il principato di Antonino Pio.

Il tempio, al momento dell’abbandono, fu depredato della ricca decorazione architettonica in marmo proconnesio di cui rimangono numerose testimonianze frammentarie come capitelli corinzio asiatici, frammenti di colonne di granito della Triade, di architravi e cornici finemente scolpiti.

LA DOMUS DI ETÀ REPUBBLICANA

Durante le ricerche archeologiche, in corrispondenza dello spigolo SO dell’edificio di culto sono stati messi in luce alcuni ambienti relativi a strutture abitative che conservavano ancora frammenti di pareti affrescate e resti di pavimento a mosaico. Si tratta di una domus del quartiere residenziale di età municipale (I sec. a.C. – II sec. d.C.), intercettata e sepolta dalle fondazioni del tempio in seguito alla nuova progettazione urbanistica dell’area al tempo della colonia dedotta dall’imperatore Antonino Pio (141-142 d.C.). Gli affreschi, successivamente restaurati e collocati su supporti mobili, sono attualmente conservati a Canosa in Palazzo Sinesi, sede della Fondazione Archeologica Canosina e della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Puglia.

LA FASE PALEOCRISTIANA

Sono emerse dallo scavo strutture successive al tempio e presumibilmente attribuibili alla fase paleocristiana della città, ipotesi confortata dalla presenza dei noti mattoni sui quali è leggibile il monogramma del santo vescovo Sabino (VI sec. d.C.), oltre che da una formella in terracotta sulla quale sono ben leggibili evidenti simboli cristiani. L’ultima fase di utilizzo dell’area è caratterizzata dalla presenza di tombe, soprattutto infantili, che invasero gli spazi disponibili, proprio come avvenne nell’ultima fase di utilizzo delle altre aree paleocristiane cittadine, come la basilica di San Leucio e il battistero di San Giovanni.

Dalle ricerche archeologiche condotte negli anni ottanta sono pertanto emerse strutture precedenti la costruzione del tempio, avvenuta in età antonina (II sec. d.C.), e altre successive allo stesso, che fanno di questa area una importantissima e ricchissima fonte di informazioni sulle fasi di trasformazione urbana della Canosa antica.

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